Golfo del Leone

42°31’05.9″N 3°06’26.3″E

Lascio l’ormeggio, questa volta senza esitazioni. Quando il vento mostra i muscoli sembra che anche il marinaio diventi più risoluto. Scelgo di tardare la partenza di un’ora, sono le 8, perché alla fine ho deciso di affrontare il famoso Leone. Velisti ben più esperti di me hanno rimesso la barca e incontrato notevoli difficoltà in questo tratto di mare caratterizzato dal Mistral, figlio delle depressioni nel golfo di Biscaglia incanalate lungo i Pirenei. Il risultato è una fiammata di vento con poche soluzioni di continuità, che a guardare la resa cromatica nelle previsioni del tempo sembra proprio la chioma di un leone, soprattutto per i colori aranciati tipici di venti superiori ai trenta nodi. La previsione è giusta, si parla di raffiche fino a trentacinque nodi a metà giornata, per cui voglio essere un po’ in ritardo per far passare il peggio. Rimandare al giorno dopo significherebbe non approfittare del vento e, ad essere sinceri con se stessi, evitare il confronto. Dopo due giorni verrà qualcosa di molto peggio, per cui le possibilità non sono molte. Una parte di me preme e la ascolto. Il vento aumenta e con due mani di terzaroli alla randa e fiocco ridotto inizio a volare a 8 nodi in una bolina larga con onde di un metro al mascone. Sia il vento sia le onde si allargheranno per la conformazione del golfo, finendo con un lasco e onde al giardinetto. Purtroppo non avevo previsto di essere così veloce e alla fine mi ritrovo esattamente dove non volevo essere quando non dovevo esserci: centro del golfo a metà giornata. Le onde arrivano ad un metro e mezzo, considerando che si parla di altezza media e quindi mura d’acqua di 3 metri quando si è nel cavo, e raffiche che toccano, almeno per quello che ho visto con la coda dell’occhio, 41 nodi. Non posso lasciare il timone, l’autopilota non ce la fa nemmeno lontanamente, ma tutto è equilibrato e solo verso fine giornata subisco numerose straorze, sia perché sono stanco sia perché il vento ha girato e sicuramente non ho regolato benissimo le vele nelle sortite fugaci per non lasciare il comando alla ruota. Risultato: in meno di 8 ore percorro 60 miglia e arrivo a Port Vendres, ultimo porto grande della Francia. Non mi rispondono dalla capitaneria, che vuol dire un ormeggio autonomo, e di conseguenza senza oneri, alla banchina cittadina. Si avvicina un signore dal berretto marinaro, mi chiede di Onde Sonore, gli racconto e mi dice che dall’altro lato del porto ci sono delle installazioni artistiche con i suoni del mare. Ovviamente vado a vedere, ed ennesima serendipità, qualcuno ha raccolto le parole delle navigazioni e le ha messe in delle boe di segnalazione posizionate sul molo. Incredibile, o forse no. Poi nell’ultima notte in Francia incontro l’unica macchietta del francese della mia esperienza invernale: al crepuscolo arriva un barchino e mi chiede se avessi chiamato la capitaneria; nella mia naivté immagino vogliano informazioni, ero pronto a farli anche ormeggiare sulla mia murata, ma invece rivendicano una prenotazione. Resto un po’ basito, la sensazione è che delle persone che vanno per mare, che normalmente chiamerei marinai, non avrebbero problemi a togliere l’ormeggio da sotto la barca ad un loro prossimo, incuranti della sua sorte. Mi giro, dietro di me uno spazio ampiamente sufficiente per la loro barca, glielo indico. E capisco. Sono dei Glenans, una scuola di vela d’altura storica. Una di quelle scuole dallo stampo militare che insegnano algoritmi a ricchi bisognosi di sfiorare l’avventura, senza il coraggio di tuffarcisi dentro. Pagano delle persone dalla chiara fama e demandano la responsabilità di essere presenti sul qui e ora. Io scendo in banchina per dare una mano, mi urlano che non c’è bisogno perché stanno facendo un esercizio. Il pagante di turno deve ormeggiare da solo, lo fa e quello che penso fosse l’istruttore mi fa notare quanto è stato bravo, io gli rispondo di sì ma che lo faccio tutti i giorni, lui ribatte non male per un italiano. Sorrido, faccio il gesto del cucirsi la bocca, e torno alla mia cena e al mio vino. Peccato, l’ultimo brano è sempre quello che si ricorda in un concerto. Ma mi piace concentrarmi sul fatto che il concerto era quello di vento e onde, e che Port Vendres l’ho conquistata. Lei stessa per ormeggiare mi ha protetto con i palazzi dai 20 nodi che restavano della giornata, come se avesse apprezzato l’impegno, la scelta, l’aver abbracciato il leone e la fatica. Questa notte si dorme stanchi, fieri e felici. Brava Senza Vergogna, bravo anche io.

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