Saintes-Maries-de-la-Mer

43°26’58.6″N 4°25’28.6″E

Il vento non entra ancora e tra boline strizzate e motore raggiungo il porto principale della Camargue, regione paludosa e famosa per la comunità gitana, i cavalli e i butteri. Non per nulla è gemellata con la città di Grosseto, provincia che mi ha dato i natali, una delle innumerevoli serendipità del viaggiare per mare. E’ uno scalo tecnico, uno di quei porti che non punti ma che ritrovi sulla rotta per spezzare il percorso. Ma il porto si rivela subito vibrante, mi fanno ormeggiare prima dei pescatori e tra barchine turistiche e i pescatori stessi inizio a vedere un fermento marchiato dall’ancora con il cuore incastonato: è il simbolo della città, e ricorre in una tipica commistione tra superstizione e religione di certe comunità antiche. Siamo vicino alla Spagna, l’arena a ridosso del porto e l’allevamento di tori destinati alla ristorazione lo testimoniano. Il paese è carino con le sue case bianche che sembra di stare in Messico, anche se i negozi di souvenir e altre cose inutili, gremiti di turisti, rovinano l’esperienza. Dopo cena sarà tutto migliore, come al solito. Il simbolo mi rimarrà attaccato addosso, e rimarrà attaccato anche alla barca con cui uno dei tanti souvenir inizierà a navigare. Ancora non ho conosciuto un marinaio che rifiuti la superstizione.

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